Era il 2000 quando un ragazzino di belle speranze, con un fisico già molto potente per l’età, entrava in vasca con la calottina della prima squadra della sua città con la quale ha iniziato a nuotare e a giocare a pallanuoto: l’Ortigia. Quel ragazzino si chiamava Christian Napolitano e chissà se in quell’esordio pensava già che sarebbe riuscito ad arrivare così lontano. Oggi è ancora qui, o meglio è tornato quattro stagioni fa, dopo qualche anno trascorso a Brescia, una delle poche e più lunghe parentesi di Christian lontano dalla sua Siracusa. A 38 anni, il numero 12 dell’Ortigia, un lottatore, un simbolo di questa squadra oggi tornata ad essere grande, con la sua presenza contro la Lazio, condita da tre gol, ha appena tagliato il nastro dei suoi venti anni di carriera. Un percorso lungo per un atleta per il quale gli anni sembrano non passare mai. Un giocatore che non smette di combattere, che sa fare gruppo e spogliatoio. Un giocatore che ha ancora voglia di vincere e di farlo con i colori della sua squadra di sempre. L’Ortigia celebra il suo forte centroboa, che in questa breve intervista ripercorre la sua carriera.
Christian, cosa provi quando ti rendi conto che sono passati 20 anni dal tuo esordio?
Eh, penso che sono vecchiotto, ma con ancora tanta voglia di fare e dimostrare ancora, di dare una mano a questa squadra.
In squadra ci sono tanti giocatori della tua generazione, ma anche tanti giovani. Dall’alto della tua esperienza, come ti senti rispetto a chi ha da poco iniziato il percorso che tu hai cominciato tanti anni fa?
I giovani sono quelli che spingono noi anziani e noi dal canto nostro spingiamo loro. È un giusto equilibrio, perché se non ci fossero questi giovani in squadra non so se ci sarebbe questa spinta. Noi non vogliamo staccare la spina e loro vogliono prendere il nostro posto. C’è una sana competizione tra noi, nessuno vuole mollare e sai bene che io sono uno che non molla mai.
Come si arriva in condizioni così ottimali alla tua età? Qual è il tuo segreto?
Fare serata tutte le sere (ride, ndr). Scherzo ovviamente. Sai, una volta, da giovane, guardavo i trentenni e sembravano già vecchi, cioè i pallanotisti a 35 anni smettevano. Notavo che i 35enni, specialmente quando non erano nel giro della Nazionale, in estate non si allenavano. Per questo, da un po’ di anni a questa parte, diciamo da quando ho compiuto 32 anni, ho iniziato ad allenarmi anche in estate, da solo. Prima di tutto per il mio benessere fisico, perché comunque quando ti alleni tutti i giorni senti i benefici del lavoro che fai, è la droga di noi sportivi, quella sana, pura, quell’adrenalina incredibile. Piano piano vedevo, durante le preparazioni, gli effetti positivi di questi mini allenamenti estivi che facevo. E così non ho smesso più. Questa estate ci siamo potuti allenare con la Nazionale ed è stato fantastico. Chiaramente poi dipende anche dalla vita che fai. Certo che se avessi vissuto uscendo tutte le sere, facendo le ore piccole, bevendo, avrei smesso a 30 anni. Bisogna fare le cose con equilibrio. Ci sta che esci una sera e magari fai un po’ più tardi, ma non tutte le sere. Altrimenti non ci arrivi a 38 anni a questi livelli, a giocare campionati al top, a giocarti finali e competizioni europee. Ora di sicuro c’è l’età, la vecchiaia, ma c’è ancora tanta voglia di fare, di giocare. Quando non si gioca a me manca. Molto importante è anche come ti mantieni a livello mentale, perché se non ha più voglia di giocare, di fare trasferte, di vivere lo spogliatoio, allora meglio fermarsi. Gli stimoli sono importanti.
Il ricordo più bello della tua carriera?
Il ricordo più bello della mia carriera risale a quando fui chiamato in Nazionale nel 2013. Però, ad esser sincero, non ci ho creduto più di tanto. Avrei sicuramente potuto fare di più, forse questo è il mio più grande rammarico. Ringrazierò sempre Sandro Campagna e la Nazionale per tutto quello che mi ha dato questa esperienza. A livello di club, invece, il ricordo più bello è stato raggiungere la finale di Euro Cup con l’Ortigia, anche se poi il Covid ci ha tolto tutto. Alla fine, comunque, il ricordo più bello sarà quello che verrà.
E il più brutto?
Quando mi misero da parte a Brescia, per scelte tecniche. Non ho alcun rancore, nel senso che gli allenatori fanno le loro scelte, fa parte del gioco. Quando secondo loro non servi ti mettono da parte. Ricordo però che in quel momento ho pensato di smettere, perché non mi fece giocare la finale, mi fece entrare solo 30 secondi. Un pezzo brutto della mia carriera che volevo cancellare, anzi decisi di smettere proprio. Poi mi chiamarono Stefano Piccardo, l’ingegner Marotta e suo fratello Marcello, che ringrazio perché mi diedero fiducia in un momento in cui ero sfiduciato. Non volevo più entrare in acqua. Piano piano, la squadra, il mister, Massimo Giacoppo mi hanno aiutato ed è tornata la passione. Siamo molto affiatati come squadra.
Quale giocatore ti ha impressionato di più nella tua carriera?
Francesco Di Fulvio. Per me è il giocatore più forte al mondo. E poi uno che ammiro tantissimo ce l’ho in squadra ed è Stefano Tempesti. Lui, per me, è la leggenda, sono cresciuto con il suo mito. Stefano è una leggenda indiscussa della pallanuoto. Averlo in squadra è come avere Maradona e Pelè insieme. Lui ha 41 anni e io 38 anni, e abbiamo voglia, lui ne ha perfino più di me. Noi a volte ci diciamo “ma chi ce lo fa fare?”. Potremmo starcene tranquilli a fare la nostra vita e invece no, siamo lì, che ci alleniamo, ridiamo, scherziamo, siamo i più piccoli della squadra, siamo lì con la voglia di fare e di divertirci ancora. Questo ci mantiene giovani. Poi devo dirti la verità, senza fare nomi, ma in squadra abbiamo due-tre giovani che esploderanno, che secondo me sono i più forti d’Italia. Ne ho visti di giocatori in venti anni e posso dire che loro faranno strada e che sono veramente forti.
Chi è il difensore più difficile che tu abbia mai affrontato?
Ivovic e, quando ero giovane, Vujasinovic. Entrambi terribili, abbiamo fatto tante battaglie dure, ma sempre con il massimo rispetto. Ivovic oggi è il più forte difensore al mondo e lo temi quando ce l’hai addosso. Si lotta tanto, però sempre con il massimo rispetto.