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Tempesti: “Olimpiadi rinviate di un anno? Mi sento un leone, ci proverò ancora”

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Riportiamo per intero l’articolo firmato da Claudio Mangini uscito questa mattina su Il Secolo XIX, storico quotidiano di Genova, con l’intervista al nostro portiere Stefano Tempesti. Ringraziamo Claudio per averci concesso di pubblicarla sul nostro blog.

Buona lettura.

Lui è abituato a volare, lo dice anche il soprannome – l’Airone – e, all’occorrenza, a remare controcorrente. Lui, Stefano Tempesti, 40 anni, cinque Olimpiadi disputate e un palmares di medaglie olimpiche, mondiali, europee e scudetti che è un forziere di trionfi dello sport, quattro anni fa subì il distacco della retina a due mesi dai Giochi di Rio. Finì sotto i ferri, fu costretto a giorni d’immobilità totale per non compromettere l’esito dell’intervento e poi riprese a inseguire quel traguardo, in palestra e in acqua, fu convocato e diede il suo contributo nella conquista del bronzo con i cinque cerchi che Campagna ha definito «una delle medaglie più belle della storia della nazionale italiana di pallanuoto». Quattro anni dopo Tempesti vola e rema ancora, e stavolta fra lui e il sogno della sesta Olimpiade c’è qualcosa che va oltre lo sport: l’emergenza globale.

Stefano, dov’eravamo rimasti prima che un fantasma lontano diventasse l’incubo con cui convivere?

«Quando si poteva parlare di sport? A un momento straordinario dell’Ortigia, la squadra che ho scelto. Siamo volati in finale di Euro Cup, aspettavamo l’avversaria tra Brescia e Eger, e in campionato stavamo andando fortissimo. E io mi sentivo, e mi sento ancora, un leone. Ma sembrano sensazioni e pensieri lontani».

Cosa le passa per la mente oggi?

«Innanzi tutto penso alla salute. Della mia famiglia, mia, dei miei amici e di tutti. Sarebbe bello riprendere, cancellare tutto con un colpo di spugna, poter riprendere a pensare alle emozioni e agli obiettivi quotidiani, ma non vorrei che la voglia di correre portasse a sbattere. Ci sono altre priorità oggi».

L’intervista sulla pagina del Secolo XIX di oggi

Come si allena?

«Come tutti i miei colleghi. Faccio ginnastica, un salto in più o la tuta di un colore diverso non cambiano molto: ci arrangiamo. Mangio regolare, lavoro a secco mentre il nostro elemento è l’acqua e ho la fortuna di poter fare palestra sul mio terrazzo, un terrazzone davanti al mare».

Quando questa brutta storia, speriamo il prima possibile, sarà alle spalle e si riprenderanno la vita normale e lo sport, quale sarà il vostro obiettivo principale?

«La coppa. La finale scudetto sarebbe una grande soddisfazione, giocarla contro quella che è la sicura finalista, la Pro Recco, sarebbe bellissimo. Ma vincere un trofeo continentale sarebbe il massimo: l’Ortigia sta scrivendo un pezzettino di storia di questo sport, lo stiamo facendo tutti insieme, potremmo lasciare il segno».

Si è innamorato della sua squadra, l’Ortigia di Siracusa?

«Assolutamente sì. E’ un posto meraviglioso con gente meravigliosa, dove ho trovato un’umanità incredibile e un ambiente eccezionale, a cominciare dal presidente onorario Marotta, poi l’allenatore Piccardo e i compagni, gente con cui avevo giocato a Recco come il capitano Giacoppo, Valentino Gallo e Napolitano che sono miei ex compagni di nazionale, e tutti gli altri».

Crede che si riuscirà a terminare la stagione di club?

«Comandano le Olimpiadi, hanno la priorità su qualsiasi altro evento sportivo. Con lo spostamento al 2021 appena deciso, penso che si potrà terminare la stagione di club in estate, e sarebbe molto bello».

Quando ha scelto di passare all’Ortigia e vivere da trasfertista, con la famiglia lontana, l’obiettivo principale era giocare con continuità ad alti livelli per inseguire i Giochi con il Settebello?

«Vero. Era il mio pensiero, lo è ancora».

Anche ora che l’Olimpiade slitta di dodici mesi?

«Anche se fosse slittata di due anni. Non mollo, sono in gioco e voglio provarci. Mi sento bene, ci sono: finché sarò in forma, sarò pronto per il Settebello. Campagna mi ha visto giocare diverse volte quest’anno. Non c’è bisogno che io gli dica niente e viceversa: è una questione di rispetto».

Lopez Pinedo, portiere della Spagna, i prossimi sono 40 anni; Nagy, numero uno dell’Ungheria, vicino ai 36; lei, quasi 41: tutti nati di luglio e tutti al top…

«Non molliamo. Lopez Pinedo e Nagy giocano in nazionale e cercheranno un’ultima gioia al massimo livello, io spero di poter fare come loro».

Il virus ha stoppato anche i suoi ex compagni della Pro Recco, che sono più di mezza Nazionale…

«Gli voglio bene e ringrazio la società di avermi permesso di allenarmi con loro tutti i lunedì e martedì. E’ un onore, Recco è casa mia».

 

Claudio Mangini (pubblicato il 25 marzo 2020 su Il Secolo XIX)